
Ultimamente cerchiamo di scrivere qualcosa che interessi davvero i nostri compagni. Qualcosa che parli di noi, delle nostre vite, delle nostre domande. Ma c’è un piccolo problema: molte delle cose che ci toccano da vicino non si possono scrivere qui.
Non perché non siano vere. Non perché siano volgari. Ma perché non “stanno bene” in un contesto scolastico.
-Parlare di sesso? “Non è adatto.”
-Parlare di droga? “Potrebbe dare un messaggio sbagliato.”
-Parlare di ansia, autolesionismo, solitudine? “Meglio non turbare i lettori.”
-Parlare di religione o ateismo? “Potrebbe offendere qualcuno.”
-Parlare di discriminazioni vere che viviamo ogni giorno nei corridoi? “Non è il luogo.”
Ma allora, dove si può parlare di queste cose?
Forse nel bagno durante l’intervallo. O su Instagram, nei DM. Forse nelle note vocali di notte, quando si cerca qualcuno che ascolti senza giudicare. Perché se la scuola non ascolta, ci si trova da soli a cercare risposte.
Eppure, non vogliamo fare polemica. Vogliamo solo dire una cosa: non parlare non risolve nulla.
Far finta che i problemi non esistano non li fa sparire. Fa solo sembrare che i problemi non ci siano.
E allora eccoci qui. A scrivere un articolo sul perché non possiamo scrivere certi articoli.
Paradossale, vero?
Eppure, forse, è proprio qui che nasce una vera domanda:
Una “scuola” che evita certe domande degli studenti può definirsi completamente educante?
Articolo scritto da Nessuno