Cari adulti,
sono una ragazza di quindici anni. Vado a scuola, studio, ascolto, provo a capire il vostro mondo.
Cerco di imparare come funziona la società in cui sto crescendo e quale posto potrò avere, un giorno, dentro di essa.
Da giorni, però, c’è una domanda che mi gira in testa e non riesco a togliermela di dosso.
Ho sentito di studenti della facoltà di medicina liquidati da una Ministra con poche parole: “poveri comunisti”, ma soprattutto definiti inutili. Ed è proprio questa parola che mi ha colpita di più.
Non tanto l’etichetta politica, perché il comunismo la mia generazione non l’ha mai vissuto, non lo ha mai visto, spesso nemmeno lo comprende fino in fondo. Quella parola, per noi, è lontana, quasi astratta.
“Inutili”, invece, no. “Inutili” fa male. “Inutili” è un giudizio diretto, pesante, che colpisce chi studia, chi si impegna, chi prova a costruirsi un futuro.
E allora mi sono fermata a pensare.
Noi giovani, oggi, come dovremmo comportarci?
Dobbiamo dire quello che pensiamo oppure stare zitti?
Dobbiamo fare domande, protestare, esprimere dubbi, oppure sorridere, annuire e non disturbare?
A scuola ci insegnate il pensiero critico. Ci ripetete che dobbiamo essere cittadini consapevoli, interessarci alla politica, alla società, al futuro. Ci dite learn to think, partecipate, informatevi.
Però poi, quando qualcuno lo fa davvero, quando dei giovani parlano, chiedono, magari sbagliano anche, la risposta non è il dialogo, ma l’insulto mascherato da battuta. Non l’ascolto, ma la svalutazione.
Io non so se quei ragazzi siano comunisti e, sinceramente, non mi interessa. So però che sono studenti, come potrei esserlo io tra qualche anno. Sono persone che studiano per diventare medici, per curare gli altri. Definirli “inutili” non è solo offensivo: è un messaggio pericoloso.
Quel che mi chiedo è questo: se loro vengono trattati così, che messaggio arriva a noi più giovani?
Che parlare è pericoloso?
Che pensare è sospetto?
Che se non sei d’accordo allora sei “contro” e quindi non meriti rispetto?
Allora torno alla domanda iniziale e la giro a voi adulti:
cosa dovremmo fare? Tacere per non essere giudicati? Oppure parlare lo stesso, accettando il rischio di essere fraintesi o insultati?
Io non ho una risposta definitiva. Ma una cosa la so: un mondo in cui i giovani stanno zitti per paura degli adulti è un mondo che non va da nessuna parte.
Il rispetto non dovrebbe essere a senso unico. Le istituzioni, gli educatori, i politici dovrebbero ascoltare, non etichettare. E soprattutto non umiliare.
Con rispetto,
una ragazza di quindici anni
