Grazie a un progetto realizzato con la Prof.ssa Bartolini, insieme alla mia classe ho avuto l’opportunità di conoscere una realtà alternativa a quelle che generalmente si trovano nell’ambito lavorativo. La cooperativa MIR si fonda su due principi fondamentali: la sostenibilità ambientale nel settore tessile e l’inclusione sociale.
La cooperativa nasce nel 2013 da Alessandra e Massimo, due persone dai valori solidali speciali. Durante la prima chiacchierata che ho avuto la fortuna di fare con loro, abbiamo approfondito alcuni temi ambientali, come il fast fashion, ovvero le aziende (come Shein e Primark) che producono velocemente enormi quantità di vestiti; questo modello provoca enorme inquinamento, perché molti capi vengono prodotti con materiali plastici e poi buttati.
La MIR si propone come alternativa a questo modello. La lana di pecora rappresenta la materia prima principale dell’azienda e viene utilizzata per realizzare oggetti di arredamento, profumatori e persino capi di abbigliamento come maglioni. Nulla viene sprecato, tutto viene trasformato.
Nel secondo incontro abbiamo visto il trailer del documentario realizzato da Chiara Ridolfi sulla MIR. In esso, Massimo pronuncia una frase che, secondo me, rappresenta perfettamente lo spirito della cooperativa: “Quello che è scartato nel mondo, qui è al primo posto”.
Fino a quel momento avevamo parlato di inclusione soprattutto dal punto di vista ambientale, ma esiste un aspetto ancora più profondo. La MIR offre lavoro e dignità a persone spesso emarginate dalla società, come individui con fragilità psicologiche o storie personali difficili. Ciò che il mondo tende a escludere, qui trova spazio, rispetto e una nuova possibilità.
L’esempio che mi ha colpito di più è quello di Nicola, un ragazzo con la sindrome di Down soprannominato affettuosamente “Presidente” dai suoi colleghi. Alessandra e Massimo ci hanno raccontato delle sue visite alla casa di reclusione di Orvieto, dove è conosciuto e accolto con grande affetto.
Nicola possiede un dono raro: l’empatia. Durante il lavoro, se nasce un contrasto tra colleghi, lui interviene con un gesto semplice ma potentissimo: abbraccia prima uno e poi l’altro, riuscendo spesso a sciogliere ogni tensione. In quel gesto si riflette l’anima della MIR, un luogo in cui ogni persona, anche la più fragile, ha un ruolo fondamentale.
Durante questo incontro abbiamo anche parlato delle nostre passioni e dei nostri sogni futuri. C’è chi desidera diventare calciatore, chi militare, chi avvocato e chi, come me, giornalista. Forse non era lo scopo principale dell’attività, ma l’ho interpretata come un invito a riflettere: dovremmo sentirci fortunati anche solo per il fatto di poter sognare, perché non tutti ne hanno la possibilità, spesso senza averne colpa.
Nell’ultimo incontro, dalle parole siamo passati ai fatti: siamo andati nel luogo in cui lavorano Alessandra, Massimo e tutti gli altri. Ad accoglierci c’erano altri tre ragazzi, che ci hanno parlato dei loro incarichi (non sempre in modo positivo, ma anche questo fa parte della MIR). Assieme a loro, abbiamo lavorato la lana di pecora, fino a creare piccoli oggetti a forma di cuore, utilizzabili come portachiavi o semplicemente come decorazioni per la casa.
È stata una giornata significativa, non perché abbiamo saltato le normali lezioni scolastiche, ma perché mi ha aperto nuove prospettive di vita. Sentirsi inutili nella società, forse, accade solo quando ci si trova nel contesto sbagliato.
Alla fine del progetto, mi sono reso conto che il vero cambiamento non sta solo nel recuperare ciò che è abbandonato, ma nel riconoscere il valore di ogni persona. Forse, allora, il mondo diventerebbe davvero un posto migliore se imparassimo a vedere il potenziale nascosto in ogni “scarto”.
