Francesco “Frank” Lotta è un conduttore radiofonico, viaggiatore e scrittore pugliese, voce di “Deejay On The Road” su Radio Deejay. Da anni racconta il mondo attraverso i suoi viaggi, spesso in solitaria, trasformando ogni esperienza in un racconto di scoperta e libertà. Dall’Alaska al deserto del Wadi Rum, fino alle strade d’Italia percorse in bicicletta, Frank combina curiosità, ironia e introspezione, portando in radio e sui social la sua personale visione dell’avventura. Dopo la sua partecipazione al Triplo Sound Festival – di cui abbiamo parlato in un altro articolo – ho avuto il piacere di intervistarlo per approfondire il suo percorso e la filosofia che lo accompagna in ogni viaggio.
Quando hai scoperto la tua passione per la radio? Ricordi la tua prima volta davanti ad un microfono?
La mia passione per la radio, in realtà, è nata prima di me: mio padre, nel 1978, aveva fondato una piccola emittente locale nel mio paese in provincia di Taranto. Sono cresciuto in quell’ambiente, andavo spesso con lui negli studi e per me la radio era qualcosa di quotidiano.
La prima volta che mi sono messo davanti a un microfono avevo circa 6-10 anni: insieme a mio padre annunciavo le favole che andavano in onda, come “Biancaneve e i Sette nani”.
Però il vero” innamoramento” per la radio è arrivato molti anni dopo, intorno ai 22-23 anni, quando lavoravo nei villaggi turistici. Un giorno mi chiesero di condurre la radio del mattino per i ragazzi del camp, leggendo dediche e mettendo musica. Mi divertivo tantissimo, e lì ho capito davvero quanto mi piacesse fare radio.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro da conduttore radiofonico?
Una delle cose più belle del mio lavoro, e lo stavo facendo proprio adesso in studio, è preparare il programma. Ogni domenica sera conduco una trasmissione che parla di viaggi e viaggiatori, con tanta musica alternativa. Mi piace molto andare in onda e parlare al microfono, ma la parte più entusiasmante è proprio la preparazione: scegliere le canzoni, decidere gli argomenti, scrivere i testi o i monologhi che leggerò in diretta.
Durante la settimana mi dedico a tutto questo, cercando di costruire interventi brevi ma curati, perché in radio ogni parola conta.
La radio, per me, è come un viaggio: puoi programmare il percorso, ma non sai mai davvero dove ti porterà. Ogni diretta è viva, imprevedibile — un messaggio, una battuta o un’emozione possono cambiare tutto. Ed è proprio questa spontaneità, questo continuo divenire, che la rende così bella.
Come è nato Deejay on the road? C’è stato un ospite che ti ha colpito particolarmente?
Nel 2013, dopo tre anni a Radio Deejay, ho attraversato un momento di crisi: avevo raggiunto un grande traguardo, ma mi chiedevo cosa fare dopo. Così sono partito per il Cammino di Santiago, un’esperienza che mi ha cambiato molto. Al ritorno ho proposto a Linus l’idea di un programma dedicato ai viaggi e ai viaggiatori — ed è nato Deejay on the Road.
All’inizio andava in onda solo due settimane a Natale, poi ha preso sempre più spazio, fino a diventare il programma della domenica sera che conduco ancora oggi.
Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di intervistare tantissime persone, ma le interviste che porto più nel cuore sono quelle dei primi tempi, nel 2013: Max Gazzè, Linus, Fabio Volo e soprattutto Franco Battiato. L’intervista con lui è quella che mi ha colpito di più, la conservo ancora in video ed è un ricordo prezioso. Un altro incontro importante è stato con Paolo Cognetti, grande scrittore e amico, con cui oggi c’è un legame di affetto e stima reciproca.
Com’è lavorare in un ambiente come Radio Deejay? C’è un collega da cui hai imparato di più?
Per me ogni giorno è un regalo, una grande fortuna poter lavorare in una radio così importante. Allo stesso tempo, però, è anche molto difficile, perché lì ci sono passati — e ci sono ancora — i più bravi, veri campioni della radio. È un po’ come giocare in una squadra piena di fenomeni: ogni giorno senti la responsabilità di essere all’altezza.
Dopo quindici anni provo ancora spesso dubbi o incertezze, ma è un ambiente bellissimo, pieno di persone con cui si creano legami veri. Il regalo più grande che mi ha dato la radio, infatti, sono proprio le amicizie. Io non sono di Milano, ma grazie alla radio ho trovato una famiglia qui.
Lavoro da tanti anni con DJ Aladin, con cui ho un bellissimo rapporto, e da lui ho imparato tanto. E poi, ovviamente, da Linus, il mio direttore artistico: anche se a volte è molto diretto, mi ha sempre dato consigli preziosi.
In realtà, però, imparo da tutti. Credo che se hai l’umiltà di guardarti intorno, puoi imparare qualcosa da chiunque. Devi avere sempre le orecchie tese, gli occhi aperti, pronto a cogliere uno spunto interessante. Come dice quella famosa frase — spesso attribuita a Picasso — “I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano”: nel senso che non devi imitare, ma lasciarti ispirare, prendere qualcosa e farla tua.
In un’epoca dominata dai social e dai video, cosa ha ancora di speciale la radio secondo te?
Credo che la radio rimarrà sempre, perché riesce a creare un rapporto di fiducia e intimità unico tra chi parla e chi ascolta. Nonostante l’arrivo di internet, dei social e dei podcast, la radio è sempre rimasta, e questo accade perché, a differenza di altri mezzi, dietro c’è una selezione, una professionalità che dà credibilità a chi parla.
Quando una persona accende la radio, sa che può fidarsi di quella voce, che c’è qualcuno scelto e competente a raccontargli una storia, a farlo emozionare o a fargli compagnia. È proprio questa fiducia reciproca, questa sensazione di vicinanza anche a distanza, che rende la radio ancora così viva e speciale.
Che consiglio daresti a un ragazzo o una ragazza che sogna di lavorare in radio o nella comunicazione?
Non mi sento di mettermi nei panni di chi dispensa consigli, perché nel mio percorso c’è stata tanta fortuna. Il vero potere che ognuno di noi ha è l’azione: fare, provarci, mettersi in gioco. Ma bisogna sapere che non è affatto certo che i sogni si realizzino, anche se ci si impegna al massimo.
È una grande bugia quella del “se ti impegni ce la fai per forza”: l’impegno serve, sì, perché ti aiuta a scoprire chi sei, a costruire la tua personalità, ma il risultato finale dipende anche da circostanze esterne, casualità e incontri fortunati.
Io stesso sono arrivato a Radio Deejay per una coincidenza: Linus aveva scritto un post sul suo blog, io ho risposto, e da lì si sono incastrate una serie di situazioni fortunate.
Quindi il mio consiglio, se così si può chiamare, è questo: fate, agite, mettetevi in gioco per voi stessi, per la vostra crescita personale, non solo per raggiungere un obiettivo. E se non ci riuscite, non sentitevi in colpa, perché non è solo una questione di merito o impegno. Ma se un giorno ci riuscite, riconoscete anche la parte di fortuna e siate grati per questo.
Qual’è la cosa più importante che hai capito su te stesso? Cosa diresti al “Frank” adolescente se potessi tornare indietro?
Credo che la risposta più semplice sia “bisogna perdonarsi gli errori”. Tutti nella vita facciamo delle scelte che poi ci sembrano sbagliate, e spesso ci stiamo male pensando a come sarebbe andata se avessimo fatto diversamente. A me è capitato molte volte, anche di soffrirci.
Se potessi incontrare il me del passato, gli direi: “non ti preoccupare, se oggi sei quello che sei è anche grazie a ciò che non hai fatto”. Bisogna imparare a essere più generosi con se stessi e accettare che anche gli errori hanno un senso.
Al Frank adolescente direi anche qualcosa di più concreto: “non mollare YouTube”, perché nel 2008 avevo iniziato a fare interviste e quella strada oggi sarebbe stata attualissima, e “continua a giocare a basket”, perché mi piaceva tanto e l’ho lasciato per studiare. Il resto, col tempo, trova il suo equilibrio: l’importante è non colpevolizzarsi troppo e perdonarsi.
Nel corso di questa intervista, Francesco Lotta — o semplicemente Frank, come ama farsi chiamare — ci ha mostrato non solo il volto del conduttore radiofonico e viaggiatore, ma soprattutto quello dell’uomo curioso, consapevole e profondamente umano che sta dietro al microfono.
In un tempo in cui tutto sembra correre veloce, Frank ci insegna a rallentare, a osservare, a mettersi in discussione — e magari, ogni tanto, anche a perdonarci.
