
Il calcio è da sempre lo sport più seguito in Italia. È passione, tifo, sogni condivisi. Ma oggi, sempre più spesso, ci si chiede: è rimasto davvero uno sport per tutti? Oppure sta diventando un lusso per pochi?
Seguire il calcio in televisione oggi è complicato e costoso. Per vedere Serie A, Champions League e i principali campionati europei, bisogna abbonarsi a diverse piattaforme: DAZN, Sky, Prime Video, Now, Infinity+. Il costo totale può facilmente superare i 100 euro al mese.
Una spesa che non tutti possono permettersi, soprattutto noi studenti, che magari sogniamo un futuro nel mondo dello sport e vorremmo semplicemente seguire la nostra passione.
Nemmeno lo stadio è rimasto un luogo per tutti. Gli abbonamenti stagionali spesso superano i 300 euro per i settori popolari, e i biglietti singoli costano sempre di più. Per una famiglia o per un giovane tifoso, vivere le partite dal vivo è sempre più difficile.
Ma se mentre i tifosi fanno sacrifici, nel calcio professionistico continuano a girare cifre astronomiche: basta pensare a Lamine Yamal, che a soli 17 anni, guadagnerà circa 20 milioni di euro all’anno, oppure a Simone Inzaghi, ex allenatore dell’Inter che ha firmato un contratto da 50 milioni in due anni con l’Al Hilal, una squadra araba. Sono numeri che fanno impressione, soprattutto se confrontati con la realtà di chi sogna di lavorare un giorno in questo settore, ma già da ragazzo deve spendere tantissimo solo per seguirlo.
E se guardiamo al campo, il problema non cambia. In molti paesi europei — come Spagna, Francia, Germania, Inghilterra — i giovani talenti giocano con continuità già a 16-17 anni.
Basta pensare a Yamal, Pedri, Haaland, Mbappé, Zaire-Emery, Doué: tutti ragazzi che hanno esordito da giovanissimi, spesso anche decisivi in top club europei. In Italia, invece, sembra quasi che se non hai almeno 22 o 23 anni, tu non sia “pronto”. È un limite culturale
che frena tanti ragazzi e che allontana il nostro calcio dal futuro. Raramente ragazzi di 17-18 anni riescono a strappare un posto in squadre di alto livello come Juve, Inter, Milan o Napoli.
Anche per noi studenti appassionati, che vorremmo intraprendere un percorso sportivo (da giocatori, allenatori, giornalisti o dirigenti), le occasioni sembrano sempre troppo poche.
A mio parere, il calcio dovrebbe restare un patrimonio popolare, accessibile anche a chi non ha grandi possibilità economiche. E dovrebbe credere di più nei giovani, dentro e fuori dal campo. Noi studenti, giovani appassionati di sport, non vogliamo smettere di sognare solo
perché non possiamo permetterci un abbonamento o perché qualcuno decide che “non siamo pronti”. Se il calcio vuole davvero guardare avanti, deve cominciare ad ascoltare anche chi lo vive con il cuore, ogni giorno.