
Ormai l’intelligenza artificiale è dappertutto. Scrive testi, compone musica, fa diagnosi mediche, crea immagini e ci suggerisce anche come rispondere ai messaggi. Ovviamente, appena se ne parla, parte il panico:”Ci ruberà il lavoro!”, “Diventeremo inutili!”, “Faremo tutti la fame!”. Eppure l’abbiamo già sentita questa storia, no?
È successa con le macchine industriali, con i computer, con internet, e sì, anche con il telefono.
Quando è arrivato, il telefono era visto come un nemico: “Così la gente smetterà di vedersi di persona!”, “Diventeremo tutti asociali!”
Spoiler: il problema non era il telefono. Il problema era (ed è) che molte persone non trovano un equilibrio. Lo stesso vale per l’AI. Non è “buona” o “cattiva”. È uno strumento. E come tutti gli strumenti, può essere usato bene o male.
La chiave è la convivenza.
Certo, alcuni lavori stanno scomparendo. Ma tantissimi altri stanno nascendo. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 l’AI e l’automazione elimineranno circa 85 milioni di posti di lavoro, ma ne creeranno 97 milioni di nuovi, in settori completamente diversi.
C’è il prompt engineer, una figura sempre più richiesta: è chi sa “parlare” con l’AI, usando le parole giuste per ottenere le risposte migliori. Un po’ come un traduttore tra mente umana e macchina.
Ecco qualche esempio concreto.
Poi c’è l’AI ethicist, l’esperto di etica dell’intelligenza artificiale. Il suo compito è fondamentale: stabilire i confini morali dell’uso di queste tecnologie. Perché creare è potente, ma sapere dove fermarsi è ancora più importante.
L’annotatore di dati invece lavora dietro le quinte per “allenare” l’intelligenza artificiale. Etichetta immagini, testi, suoni… È un lavoro di pazienza e precisione, ma è grazie a queste persone se l’AI riesce a riconoscere un gatto da un cane.
Poi ci sono i content creator assistiti dall’AI: artisti, scrittori, videomaker che usano strumenti come Chat GPT, DALL·E o Runway per dare vita a nuove idee e contenuti originali. Creatività umana e potenza artificiale insieme.
E infine il cybersecurity analyst con focus sull’AI, il guardiano digitale che protegge i sistemi automatizzati dagli attacchi informatici. Perché ogni innovazione ha bisogno di difese solide.
E non parliamo di fantascienza: nel 2024, il mercato globale dei lavori legati all’AI è cresciuto del 23% rispetto all’anno precedente (dati LinkedIn), e sta ancora esplodendo.
La verità è che l’intelligenza artificiale non distrugge l’intelligenza umana. Ma ci costringe a usarla in modo nuovo.
Sta a noi decidere se vogliamo farci spaventare, o se vogliamo imparare a conviverci. Esattamente come abbiamo imparato a non diventare zombie da telefono (anche se ogni tanto ci ricaschiamo…).
Perché alla fine, l’AI non ci ruba il lavoro. Ci fornisce solo scuse.
E quella, forse, è la parte che fa più paura.