Quando pensiamo al Nepal, spesso ci viene in mente l’Himalaya, l’Everest e i turisti con lo zaino in spalla. Ma dietro le montagne più alte del mondo c’è un popolo che negli ultimi decenni non è mai rimasto con le mani in mano.
Per secoli, il Nepal è stato governato da una monarchia assoluta, dove i re decidevano tutto. Negli anni ’90, però, la gente ha detto basta: manifestazioni, scioperi e proteste hanno costretto il re a introdurre il multipartitismo. Non contenti, qualche anno dopo i maoisti hanno guidato una vera e propria guerra civile che ha spazzato via la monarchia e portato, nel 2008, alla nascita della Repubblica. Insomma, in Nepal sanno cosa significa lottare per cambiare le cose.
E oggi? Negli ultimi mesi, il Paese è tornato a far parlare di sé per una nuova ondata di proteste. Migliaia di giovani, studenti e lavoratori hanno riempito le strade di Kathmandu e di altre città. I motivi? Sempre gli stessi di cui si parlava già vent’anni fa: disuguaglianze sociali, corruzione della politica, salari troppo bassi e un futuro che sembra costringere molti a emigrare.
Il governo ha cercato di reprimere le proteste con la polizia, ma non è servito a spegnere la rabbia. Anzi, le immagini delle cariche e degli scontri hanno reso ancora più evidente una cosa: il popolo nepalese non è disposto ad accettare passivamente le ingiustizie.
La rivoluzione di oggi, quindi, è figlia delle lotte di ieri. In un Paese così piccolo, stretto tra due giganti come India e Cina, i cittadini continuano a chiedere una cosa molto semplice, ma difficilissima da ottenere: una società più giusta e un futuro degno.
E forse la lezione che arriva dal Nepal è anche per noi: non importa quanto sei “piccolo”, se alzi la voce e ti muovi insieme agli altri, puoi far tremare anche le montagne.
